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La consuetudine di aumentare in modo graduale la complessitá degli esercizi via via che gli allievi progrediscono, si basa su principi logici e comuni a tutte le discipline.

A volte nelle scuole private, dove magari gli allievi non hanno lezioni con frequenza quotidiana, questa consuetudine prende una piega un po’strana.

Se nei primi anni di studio, l’etá e le richieste tecniche sono facilmente in armonia tra loro, mano mano che i ragazzi crescono, i maestri hanno la tendenza ad aumentare la complessitá degli esercizi in modo esponenziale, rispetto alla loro reale capacitá di eseguirli in modo corretto.

La premessa è questa: dal punto di vista cognitivo, gli studenti crescendo diventano sicuramente piú abili a ricordare sequenze lunghe e difficili ma, se la quantitá e la frequenza delle loro lezioni non aumenta in proporzione, non potranno mai raggiungere le condizioni muscolari giuste per eseguire gli esercizi richiesti in modo corretto.

Non so voi, ma ho avuto l’impressione che, nel tentativo di dare ai ragazzi stimoli nuovi continuamente, si perda l’occasione di incidere davvero sulla loro preparazione: come se fosse necessario aumentare ad ogni costo il numero di giri, l’altezza della gamba o eseguire intricate combinazioni che mettono alla prova i riflessi ma non aiutano a rinforzare un gran ché….

E peggio ancora, il messaggio che arriva agli allievi è che, se nella lezione non c’è nessuna particolare nuova sfida, questa non sia davvero servita ad imparare qualcosa in piú.

Dai… è capitato a tutti di avere la mamma di turno che dice (a volte con un filo di imbarazzo) che la bimba in questione si lamenta perché “facciamo sempre le stesse cose”. E allora i maestri si scapicollano, da un lato a spiegare che la sbarra bisogna farla sempre bla-bla-bla e dall’altro, alla lezione successiva magari infilano il “nuovo salto” cosi la bambina sará contenta e con lei tutta la classe.

In questo modo noi maestri entriamo in un loop un po’ tossico nel quale, pensando di dover dare stimoli nuovi, in realtá, li “distraiamo” dal coltivare e sentire quel lavoro profondo che, davvero, serve a stratificare la loro competenza e portarli al livello successivo.

Sappiamo bene che, in tutti i metodi di studio, c’è una saggia e consolidata gradualitá e che bisogna fare delle richieste sempre crescenti agli allievi.

Peró parliamoci chiaro: nel mondo vero, e specialmente nel mondo delle scuole private amatoriali, si è sempre alla ricerca di un equilibrio tra le proposte del maestro e la reale “capacitá” degli studenti; dove per “capacitá” intendiamo interesse,  quantitá di lezioni, capacitá fisiche, frequenza e tante altre cose. Ci sono situazioni nelle quali, se dovessimo basarci sulla prontezza degli allievi… sarebbero ancora a due mani alla sbarra a 15 anni.

Quando gli allievi crescono e le capacitá cognitive, emozionali e anche -perché no- artistiche aumentano velocemente ma la tecnica migliora ad un ritmo diverso, credo che dovremmo insistere molto di piú sulla ripetizione, magari attirando l’attenzione dei ragazzi  su aspetti diversi ogni volta (accenti dinamici, sensazioni diverse, uso dello spazio, allungamento della linea per citarne alcuni) in modo che gli allievi si concentrino piú sul COME che sul COSA e possano raggiungere un’efficacia maggiore, ottenendo cosí miglioramenti piú significativi.

Quella che viene definita “ripetizione intenzionale” è proprio quel perseverare nell’esercizio che, grazie alla concentrazione, permette ai ragazzi di superare i propri limiti: la gratificazione che viene dal riconoscere i risultati è inoltre di sostegno nel proseguire ed insistere anche nei giorni no e sappiamo che… ce ne sono sempre!

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Spesso attribuiamo il successo straordinario al talento perché certe persone  sembrano fare ciò che fanno senza alcuno sforzo. Attenzione, perché la grande importanza che diamo al talento, a volte ci serve addirittura per  accettare le nostre prestazione più mediocri … strano?  No.

Se etichetto con il termine talentuoso un soggetto per spiegarmi i suoi risultati, automaticamente porto fuori dall’area della mia responsabilità l’essere capace di fare altrettanto: lui ha proprio talento per questo… quindi mi creo un alibi perfetto per non lavorare per raggiungere lo steso scopo. Anzi, secondo questa spiegazione del successo, c’è poco da fare per migliorare, senza talento non puoi assolutamente raggiungere grandi risultati.

La buona notizia è che il talento non è un fattore chiave per avere successo e in realtà ognuno di noi ha la possibilità di raggiungere livelli di rendimento straordinari.

E’ orami dimostrato da diversi studi fatti su differenti gruppi di “campioni” che, andando a vedere la loro storia, si scopriva che quelli che ottenevano i migliori risultati in realtà non avevano nessun tipo di pre-condizione vantaggiosa nell’apprendimento. Insomma i ricercatori non trovarono nessuna traccia del famigerato talento.

Le ricerche dimostrarono che il fattore determinante dei diversi risultati ottenuti dagli studenti analizzati era solo la quantità di tempo trascorsa a praticare il loro strumento (o la loro arte o il loro sport)  e che non c’era nessuna predisposizione naturale che ne facilitasse l’apprendimento. Gli studenti migliori avevano ottenuto ottimi risultati perché praticavano più a lungo ogni giorno rispetto agli studenti che avevano raggiunto risultati mediocri

L’altro tema è  il modo in cui i “talentuosi” si esercitano. Questo è molto diverso dalla pratica a cui siamo normalmente abituati. I ricercatori definiscono questo speciale tipo di pratica: pratica intenzionale. Ripetere, specialmente se ripetendo sbaglio, non è divertente.

Fare e rifare ciò che sappiamo fare bene può essere piacevole. La pratica intenzionale invece …è esattamente l’opposto, infatti, vengono allenati di continuo gli aspetti in cui si è più carente grazie ad attività mirate proprio a metterci in difficoltà. (i giri che non vengono, sostenere una posizione per un periodo lungo etc)

È questa la ragione per cui le persone di “Talento” sono così rare: se fosse facile diventare un fenomeno, lo farebbero tutti. La maggior parte delle persone non è disposta a pagare il prezzo necessario per eccellere: specialmente quando oltre allo studio, o all’allenamento persistente e faticoso è necessario abbinare delle privazioni come allontanarsi da casa e dai propri affetti.

Il successo è il risultato della perseveranza e della caparbietà ma spesso siamo cosi ammaliati dal mito del campione, del talentuoso che stravince da credere che sia stato solo frutto della natura, della fortuna, e non dell’azione e del sacrificio!

Gli insegnanti di danza sono persone speciali e questo lo sapevamo.

Il maestro di danza è tante cose insieme: è artista, è psicologo, è artigiano, è scenografo,  è costumista, è consulente, è organizzatore, è imprenditore… ed è spesso l’insegnante che un ragazzo ha più a lungo nella sua vita.

Tutte queste cose le sapevamo già ma quello che non sapevamo era quanto sarebbero stati versatili, forti , geniali e caparbi nel voler tenere accesa la fiamma dall’amore per l’arte della danza nei loro ragazzi nei due anni che sono passati.

Ora finalmente dopo tante interruzioni, chiusure, quarantene e profonde incertezze i maestri riportano i loro ragazzi e le loro famiglie in teatro per celebrare finalmente il saggio.

Si, celebrare…perché il saggio è quasi un rituale sacro. Il saggio non è solo uno spettacolo, è la realizzazione di una promessa, è la festa di compleanno proprio di “tutti”. Quella che si aspetta con le farfalle allo stomaco, quella che si immagina per mesi, quella che si ricorda per gli anni a venire.

Il saggio è la festa della danza sotto ogni sua forma. E’ la festa dei genitori che, vedendo i loro figli sul palco si fanno una ragione alle loro lunghe attese in auto e alle corse contro il tempo per portarli a danza. Poi è la festa dei maestri che, dopo mesi di disinfezione e termometri tirano fuori dal cappello delle opere di vera “ingegneria coreografica” dove ci entrano tutti, e sono bellissimi, pettinatissimi, con costumi perfetti. Magari gli allievi non sono proprio tutti bravi ma è proprio lì che il genio entra in scena: sono bravi tutti a fare belle coreografie con gli allievi dotati. Il maestro di danza va oltre e sistema tutti al posto giusto perché oltre agli studenti più competenti tutti (proprio tutti) facciano bella figura e si sentano parte dello spettacolo.

Che sia sotto forma di storia o di concerto di balletti, non c’è saggio che non abbia un tempo extra, quello dopo gli inchini! Premiazioni, fiori, menzioni, discorsi, foto… l’energia si trattiene appena e proprio quando i più piccoli, stanchi di aspettare la fine di questa strana cerimonia, iniziano a gattonare avvicinandosi pericolosamente a bordo palco, ecco arriva finalmente il sipario a confermare che si, anche stavolta che l’abbiamo fatto ed è stato bellissimo.

Saremo poco importanti, facciamo parte di un settore invisibile ai potenti ma quali gioie si nascondono nella possibilità di avere un impatto positivo nella vita di cosi tanti ragazzi che vengono li per scelta e che possiamo aiutare a diventare adulti migliori. Viva la danza!

“Motivazione ed emozione hanno la stessa radice latina “movere” cioè muovere. Soprattutto le emozioni sono in grado di creare forti motivazioni che ci fanno “muovere” verso grandi imprese (Mauro Marchetti,Allenatore emotivo,2009)”

Noi possiamo dare obiettivi (esterni) validi ai nostri ragazzi, ma sarà sempre la loro motivazione (interna) a farli muovere.

La motivazione, che è un’esperienza soggettiva, è la chiave e il carburante per “muoverci” verso una direzione.

Chi di noi maestri, non ha incontrato un genitore che chiede di “ridare” motivazione al proprio figlio…Non è tanto la confusione di termini qui in campo ma è l’errore di pensare che l’intervento dall’esterno possa essere davvero risolutivo.

Quando le motivazioni improvvisamente …evaporano perchè non è arrivato il premio atteso o non si è arrivati primi al concorso, spesso l’insegnante ha grosse difficoltà ad aiutare davvero i ragazzi. Il momento di sconforto è normale che ci sia ma la reazione salutare deve portare a superare il fallimento e anzi a far tesoro dell’accaduto.

La motivazione intrinseca e duratura di alcuni studenti li ha portati molto più lontano di altri compagni (magari più dotati) che collegavano la loro soddisfazione esclusivamente all’ottenimento di un determinato risultato.

Non solo sono arrivati più lontano ma ci sono arrivati più contenti e soddisfatti.

Sonia Greco

Ho un lavoro interessante non c’è che dire.

Insegnare a chi ti sceglie come maestra e non è obbligato a farlo è già partire con un bel vantaggio. Insegnare danza classica è una cosa bellissima e insegnare anche a livello professionale è una condizione molto speciale. Quando questo lavoro ti porta a viaggiare per il mondo, conoscere nuove situazioni e culture e rigenerarsi quando (sempre) ce n’è bisogno, mi sento ancora più fortunata.

In questo lavoro ci sono anche tante responsabilità: oltre agli aspetti educativi e formativi che tutti noi ci prefiggiamo, c’è la scoperta guidata del futuro dei ragazzi le cui famiglie ci hanno affidato con fiducia. Sono bambini e bambine che arrivano nella scuola per caso poi passano con noi tantissimi anni: vengono quando frequentano la materna e poco dopo festeggiano con noi i loro 18 anni.

Ci hanno visto ricoprire diversi ruoli insegnanti di danza, psicologa, infermiera, taxista, promoter, agente di viaggi, parrucchiera… insegniamo loro tante cose, tutte preziose e non tutte hanno strettamente a che fare con la danza.

Ho scoperto che uno di quei “fondamentali” che dobbiamo insegnare è la GRATITUDINE.

E’ difficile definire concretamente la speciale qualità che un’insegnante o una scuola offre nello svolgere il proprio ruolo: non si tratta solo di risultati professionali -che non devono mancare- ma anche dell’attenzione verso le persone e il loro futuro, soprattutto come esseri umani.

E’ importante che i ragazzi si accorgano delle attenzioni e delle opportunità che questa generosità mette loro a disposizione. Ma quello che sembrerebbe naturale ..va invece insegnato, esattamente come le altre cose. Infatti sono sempre più tristemente convinta che “a casa” questo non sia considerato un aspetto importante.

Io dico che lo è.

I modi per dire “grazie” sono infiniti e sono tutti belli quando sono sinceri: un bigliettino, un disegno, ogni bambino o adulto ha a portata di mano gli strumenti adeguati per dimostrare di essere grato ed esprimerlo con un segno. Dobbiamo solo fermarci un attimo a pensare e mettere le cose in fila.

Ad esempio io, in queste righe, voglio esprimere il mio GRAZIE alle mie colleghe Cristiana e Licia che stanno vivendo con me questa avventura da 35 anni (!!) per la loro generosità, la fede e il cuore con cui si dedicano alla scuola. Auguro a tutti di avere di poter avere delle colleghe come loro sulle quali poter contare sempre.

Perché lo scrivo qui? Perché dire grazie è bellissimo, ma più orecchie sentono e meglio è.

Sonia Greco

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