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Sottolineare che la danza non sia sport, che si possa fare solo in teatro, che non abbia niente a che fare con il business, che sia per iniziati, che sia sempre “ALTRO” … alla fine ci ha indeboliti come categoria di professionisti visto che ancora oggi non troviamo un nostro posto dignitoso né nel mondo della cultura né in quello dello sport.

Quante parole, energie e tempo perso in questi distinguo, quando dovremmo concentrarci sul FARE.

Da un lato il FARE è dare la possibilità a tutti di trarre beneficio dalla fruizione dell’arte e della danza. Questo ha a che vedere con le scelte di mantenere e sviluppare compagnie stabili distribuite sul territorio, con il prezzo abbordabile dei biglietti e con una programmazione dignitosa che si stacchi dai modelli “riempi-pista” dei tempi più recenti.

L’altro lato del FARE è la costruzione di un vivaio che obbligatoriamente passa per la rete delle scuole private disseminate in tutto il paese, una realtà di grande valore educativo e formativo.

E’ giusto che le scuole si facciano rappresentare presso le autorità o che si facciano tutelare da organizzazioni a vario livello ma il mio sogno è che questa rete, composta da professionisti meravigliosi, possa comportarsi come tale: rinforzando i nodi cioè quei punti di incontro e collaborazione che sono cosi preziosi.

Oggi come non mai … io tifo per il FARE

Se i maestri di danza sapessero quanti semi di felicità hanno sparso nel percorso della loro carriera. Non mi riferisco a  tutte quelle volte che un allievo ha raggiunto chissà quale risultato, ha vinto chissà quale concorso e superato chissà quale audizione…

Parlo di tutti quei ragazzi che -grazie al loro maestro- si sono sentiti speciali anche solo per un momento, agli incoraggiamenti così preziosi, all’aver sentito che qualcuno credeva in loro. 

Chissà quante briciole preziose abbiamo lasciato cadere, che ancora oggi danno frutto e dimostrano che la scuola di danza è prima di tutto un luogo dove crescere bene.

Se i maestri di danza realizzassero che possono avere un impatto profondo sulle vite di tanti ragazzi, forse potrebbero essere persino più orgogliosi di loro stessi e guardare avanti con occhi diversi.

Vivere con la danza e per la danza significa essere sempre a contatto con la bellezza e il concetto di perfezione. Questo vale per gli studenti e vale anche per i maestri e  se è vero l’antico detto che “chi va con lo zoppo impara a zoppicare” sembra che la consuetudine ad avere la perfezione come punto di riferimento possa portarci a diventare -a nostra volta- dei perfezionisti. Cosa non del tutto auspicabile perché se si cerca la perfezione, l’autocritica, i dubbi e un dilagante senso di inadeguatezza sono spesso i sottoprodotti negativi di un’aspirazione praticamente inutile.

Non è solo una questione di nomi ma di sostanza: cercare di raggiungere l’eccellenza invece della perfezione è un processo molto più interessante.

La ricerca dell’ECCELLENZA è perseguire obiettivi stimolanti ma raggiungibili.
E poiché sono possibili da raggiungere, questo senso positivo di sfida può alimentare la motivazione e la soddisfazione di un lavoro ben fatto.

MENTRE

La ricerca della perfezione è, come tale, irrealistica

I ragazzi sperimenternno una costante discrepanza tra come si vedono contro come vorrebbero essere. Questa discrepanza impedisce la soddisfazione e spesso provoca pensieri ed emozioni negativi.

Differentemente dal perfezionismo, la ricerca dell’eccellenza ammette non solo l’errore ma anche il fallimento. È proprio nei piccoli errori e  fallimenti che anche gli allievi  trovano uno stimolo per raccogliere l’esperienza, migliorarsi e avvicinarsi sempre di più al risultato desiderato.

L’eccellenza è un’arte ottenuta attraverso l’addestramento e l’abitudine. Noi non agiamo bene perché abbiamo virtù o eccellenza, ma abbiamo piuttosto queste due perché abbiamo agito correttamente. Noi siamo ciò che facciamo ripetutamente. Eccellenza, allora, non è un atto, ma un’abitudine. ( Aristotele )

Per lavorare nell’eccellenza servono questi 3 aspetti chiave:

  1. Avere consapevolezza dei propri limiti e imparare a definire obiettivi chiari e misurabili.
  2. Se da una parte seguire le regole ed essere disciplinati è necessario per raggiungere un determinato obiettivo è anche vero che non bisogna rimanere intrappolati in schemi troppo rigidi. Allo stesso tempo è importante sentirsi flessibili e muoversi in schemi meno rigidi.
  3. Usare  di autoironia e guardare con un po’ di umorismo ai propri errori,  andare oltre la propria zona di comfort eper rinforzare la sicurezza e l’autostima.

L’eccellenza si raggiunge con la disciplina; viceversa, la mancanza di disciplina conduce al fallimento. Infatti la causa dell’insuccesso non è quasi mai un singolo evento o incidente, piuttosto è la conseguenza di tanti piccoli fallimenti in serie che si sono accumulati proprio per mancanza di disciplina.

Il fallimento ci attende ogni volta che manchiamo di pensare OGGI, di studiare OGGI, o semplicemente di fare quel sforzo in più OGGI: se il tuo obiettivo è quello di diventare un danzatore e sai bene che devi studiare tutti i giorni…ogni giorno che salti sai che stai tradendo la tua causa e il tuo sogno. Allo stesso modo, tu maestro sai che, per avere la scuola in salute fra 1 anno, è OGGI che devi prendere certe decisioni e ogni decisione non presa diventa un passo indietro.

Quando si è disciplinati giorno per giorno, (e magari facendo anche più del dovuto), si creano le basi solide per un futuro di successo. Inoltre scoprendo di riuscire ad essere disciplinato, acquisirai un crescente senso di soddisfazione che alimenterà la tua motivazione ad ottenere risultati sempre più alti.

Spesso attribuiamo il successo straordinario al talento perché certe persone  sembrano fare ciò che fanno senza alcuno sforzo. Attenzione, perché la grande importanza che diamo al talento, a volte ci serve addirittura per  accettare le nostre prestazione più mediocri … strano?  No.

Se etichetto con il termine talentuoso un soggetto per spiegarmi i suoi risultati, automaticamente porto fuori dall’area della mia responsabilità l’essere capace di fare altrettanto: lui ha proprio talento per questo… quindi mi creo un alibi perfetto per non lavorare per raggiungere lo steso scopo. Anzi, secondo questa spiegazione del successo, c’è poco da fare per migliorare, senza talento non puoi assolutamente raggiungere grandi risultati.

La buona notizia è che il talento non è un fattore chiave per avere successo e in realtà ognuno di noi ha la possibilità di raggiungere livelli di rendimento straordinari.

E’ orami dimostrato da diversi studi fatti su differenti gruppi di “campioni” che, andando a vedere la loro storia, si scopriva che quelli che ottenevano i migliori risultati in realtà non avevano nessun tipo di pre-condizione vantaggiosa nell’apprendimento. Insomma i ricercatori non trovarono nessuna traccia del famigerato talento.

Le ricerche dimostrarono che il fattore determinante dei diversi risultati ottenuti dagli studenti analizzati era solo la quantità di tempo trascorsa a praticare il loro strumento (o la loro arte o il loro sport)  e che non c’era nessuna predisposizione naturale che ne facilitasse l’apprendimento. Gli studenti migliori avevano ottenuto ottimi risultati perché praticavano più a lungo ogni giorno rispetto agli studenti che avevano raggiunto risultati mediocri

L’altro tema è  il modo in cui i “talentuosi” si esercitano. Questo è molto diverso dalla pratica a cui siamo normalmente abituati. I ricercatori definiscono questo speciale tipo di pratica: pratica intenzionale. Ripetere, specialmente se ripetendo sbaglio, non è divertente.

Fare e rifare ciò che sappiamo fare bene può essere piacevole. La pratica intenzionale invece …è esattamente l’opposto, infatti, vengono allenati di continuo gli aspetti in cui si è più carente grazie ad attività mirate proprio a metterci in difficoltà. (i giri che non vengono, sostenere una posizione per un periodo lungo etc)

È questa la ragione per cui le persone di “Talento” sono così rare: se fosse facile diventare un fenomeno, lo farebbero tutti. La maggior parte delle persone non è disposta a pagare il prezzo necessario per eccellere: specialmente quando oltre allo studio, o all’allenamento persistente e faticoso è necessario abbinare delle privazioni come allontanarsi da casa e dai propri affetti.

Il successo è il risultato della perseveranza e della caparbietà ma spesso siamo cosi ammaliati dal mito del campione, del talentuoso che stravince da credere che sia stato solo frutto della natura, della fortuna, e non dell’azione e del sacrificio!

Nell’insegnamento, un feedback puntuale è importantissimo per aiutare gli studenti a fare tutti quegli aggiustamenti necessari per migliorare le loro prestazioni. Ciò nonostante, quando il feedback è prevalentemente negativo, questo può scoraggiare lo sforzo e il rendimento degli ragazzi.

Un’ insegnante ha la responsabilità di NUTRIRE l’apprendimento e di fornire un riscontro costante, ma in modo tale che un allievo non lasci mai la lezione di danza  sentendosi sconfitto. Bisogna lasciare agli alunni la sensazione di poter conquistare sempre qualche risultato con pazienza e costanza.

Quando, quasi 20 anni fa, ho iniziato la formazione come esaminatrice della Royal Academy of Dance una delle cose che più mi colpirono fu proprio questo particolare approccio nella valutazione.

Oltre a me, nel mio gruppo c’erano in 7 trainees, tutti esperti colleghi provenienti da Inghilterra, Sud Africa, Malesia, Stati Uniti, Messico, Germania. Ottimi insegnanti con una carriera favolosa alle spalle che appena si sedevano per esaminare avevano un occhio infallibile a trovare tutto quello che non funzionava.

Ore e ore a spaccare il capello in 4 e fare l’elenco di cosa non andava… finchè non ci fu  chiarito che l’approccio doveva essere un po’ diverso: avremmo dovuto cercare nel lavoro mostrato  tutte le cose che funzionavano e tenerne conto nella valutazione, anzichè avere in testa un 10 e poi una scala in discesa dove togliere qualcosa ad ogni errore. Era quindi meglio partire dal basso (considerare quello che funzionava) e cercare di costruire il voto migliore che si poteva.

Ho un bellissimo ricordo della mia mentore di allora (Noreen Cheesholm) che ci diceva: fate finta di avere una vassoio di caramelle e che i candidati devono conquistarsele, vedete quante riuscite a dargliene… e siate contenti di dare tutte quelle che meritano.

In effetti è un’ottica diversa…il cervello dell’insegnante di solito non lavora proprio cosi, si comporta di  più come uno scanner che va alla ricerca di qualcosa che non va, per poi trovare delle soluzioni ad hoc. E’ sicuramente un’abilità necessaria e importantissima ma riuscire a bilanciare la capacità di analisi con una buona dose di incoraggiamento e feedback positivo  può preservare l’autostima dei ragazzi in una disciplina dalle attese cosi alte.

Gli insegnanti di danza sono persone speciali e questo lo sapevamo.

Il maestro di danza è tante cose insieme: è artista, è psicologo, è artigiano, è scenografo,  è costumista, è consulente, è organizzatore, è imprenditore… ed è spesso l’insegnante che un ragazzo ha più a lungo nella sua vita.

Tutte queste cose le sapevamo già ma quello che non sapevamo era quanto sarebbero stati versatili, forti , geniali e caparbi nel voler tenere accesa la fiamma dall’amore per l’arte della danza nei loro ragazzi nei due anni che sono passati.

Ora finalmente dopo tante interruzioni, chiusure, quarantene e profonde incertezze i maestri riportano i loro ragazzi e le loro famiglie in teatro per celebrare finalmente il saggio.

Si, celebrare…perché il saggio è quasi un rituale sacro. Il saggio non è solo uno spettacolo, è la realizzazione di una promessa, è la festa di compleanno proprio di “tutti”. Quella che si aspetta con le farfalle allo stomaco, quella che si immagina per mesi, quella che si ricorda per gli anni a venire.

Il saggio è la festa della danza sotto ogni sua forma. E’ la festa dei genitori che, vedendo i loro figli sul palco si fanno una ragione alle loro lunghe attese in auto e alle corse contro il tempo per portarli a danza. Poi è la festa dei maestri che, dopo mesi di disinfezione e termometri tirano fuori dal cappello delle opere di vera “ingegneria coreografica” dove ci entrano tutti, e sono bellissimi, pettinatissimi, con costumi perfetti. Magari gli allievi non sono proprio tutti bravi ma è proprio lì che il genio entra in scena: sono bravi tutti a fare belle coreografie con gli allievi dotati. Il maestro di danza va oltre e sistema tutti al posto giusto perché oltre agli studenti più competenti tutti (proprio tutti) facciano bella figura e si sentano parte dello spettacolo.

Che sia sotto forma di storia o di concerto di balletti, non c’è saggio che non abbia un tempo extra, quello dopo gli inchini! Premiazioni, fiori, menzioni, discorsi, foto… l’energia si trattiene appena e proprio quando i più piccoli, stanchi di aspettare la fine di questa strana cerimonia, iniziano a gattonare avvicinandosi pericolosamente a bordo palco, ecco arriva finalmente il sipario a confermare che si, anche stavolta che l’abbiamo fatto ed è stato bellissimo.

Saremo poco importanti, facciamo parte di un settore invisibile ai potenti ma quali gioie si nascondono nella possibilità di avere un impatto positivo nella vita di cosi tanti ragazzi che vengono li per scelta e che possiamo aiutare a diventare adulti migliori. Viva la danza!

Prima ci ha paralizzati e poi ci ha divisi: chi ha iniziato a lamentarsi ed attaccare e chi invece ha trasformato questo periodo di blocco uno spazio per studiare, discutere e confrontarsi.

Tra Aprile e Maggio 2020 in una serie di incontri online, ho potuto parlare con colleghi da tutte le parti d’Italia e pensate… quel periodo Zoom era ancora una novità per qualcuno.

Ci siamo confrontati sull’esperienza, sugli strumenti utilizzati per aiutare i ragazzi a casa, le risorse messe in campo e soluzioni da condividere.

Grazie a questi amici e colleghi che, con i piedi per terra e il cuore aperto, si sono messi in gioco in questi bellissimi incontri che ho avuto il privilegio di organizzare.

Nessuna polemica, nessun riferimento politico o ai massimi sistemi: solo voglia di confrontarci e farcela, per il bene dei ragazzi e della piccola comunità che rappresentiamo.

Saremo anche la Cenerentola delle arti ma io sono orgogliosa di avervi come colleghi e vi auguro che la ripresa alle porte sia positiva e vigorosa.

Spesso le singole parti di un insieme non realizzano l’effetto del loro apporto sul risultato finale.

Per fare la propria parte nel modo migliore serve la fede che questa piccolo apporto contribuirà a migliorare l’insieme e creare cose più grandi di noi.

Non forse stato così in queste settimane?

A danza si insegna precisamente questo … o no?

Sonia Greco

A volte siamo convinti di avere il miglior programma al mondo per la formazione nella danza: che la nostra scuola sia davvero la migliore della zona e che le proposte che facciamo siano di grandissimo interesse.

Un programma di danza specifico per bambini in età prescolare ci sembra esattamente quello di cui una bambina o un bambino di 4 anni ma … ricordiamoci che la gente compra quello che vuole non quello di cui ha bisogno.

Dovremo capire cosa desiderano questi genitori per arrivare ad offrire qualcosa che, in un primo momento, loro possano identificare con quello che desiderano e poi arrivare a dare loro -finalmente- quello di cui hanno bisogno.

Ma c’è qualcosa che non può mancare in nessuna scuola di danza in espansione e che è un tratto comune delle scuole di danza di successo: che il suo leader (insegnante, direttore) sia davvero innamorato di ciò che offre, totalmente convinto che il programma sia di grande impatto e che riesca a trasmetterlo ai suoi collaboratori e soprattutto alle famiglie. Questo è fondamentale perché la scuola possa sviluppare gli altri aspetti (finanziario ed organizzativo) e perché questo accada dobbiamo valorizzare al meglio la figura direttore (o titolare)

Quasi sempre all’inizio della carriera di un’insegnante non c’è un’approfondita analisi di mercato: difficile che qualcuno abbia aperto una scuola di danza perché c’erano degli indicatori economici che rivelavano proprio il bisogno di quel servizio: il 99% per cento degli insegnanti sono persone appassionate in quello che fanno, che sono animate dalla voglia di trasmettere ai ragazzi le loro conoscenze e la loro grande passione e per farlo meglio… aprono una scuola!

Poi piano piano scoprono che è impossibile occuparsi solo di danza e restare tutto il giorno in sala. C’è tanto altro di cui occuparsi ed molto molto difficile fare tutto da soli. Dipende spesso dal carattere e dai propri convincimenti ma qualcuno fa più fatica di altri a pensare di lavorare “insieme a qualcuno” magari temendo disaccordi o la perdita della leadership dell’organizzazione.

Non ci sono scelte giuste e scelte sbagliate ma certamente ogni scelta ha una conseguenza: probabilmente chi preferisce restare solo (come si dice…per non litigare con nessuno) farà tanta fatica a restare al passo con tutte le competenze che questo ruolo oggi prevede.

Esternalizzare mansioni e servizi può sicuramente risolvere tanti problemi. Anche se i costi andranno a cascata ad incidere sulle rette, è solo necessario pianificare e stabilire delle priorità: certamente una di queste è si possa continuare a lavorare con passione e slancio ogni giorno.

Sonia Greco

“Motivazione ed emozione hanno la stessa radice latina “movere” cioè muovere. Soprattutto le emozioni sono in grado di creare forti motivazioni che ci fanno “muovere” verso grandi imprese (Mauro Marchetti,Allenatore emotivo,2009)”

Noi possiamo dare obiettivi (esterni) validi ai nostri ragazzi, ma sarà sempre la loro motivazione (interna) a farli muovere.

La motivazione, che è un’esperienza soggettiva, è la chiave e il carburante per “muoverci” verso una direzione.

Chi di noi maestri, non ha incontrato un genitore che chiede di “ridare” motivazione al proprio figlio…Non è tanto la confusione di termini qui in campo ma è l’errore di pensare che l’intervento dall’esterno possa essere davvero risolutivo.

Quando le motivazioni improvvisamente …evaporano perchè non è arrivato il premio atteso o non si è arrivati primi al concorso, spesso l’insegnante ha grosse difficoltà ad aiutare davvero i ragazzi. Il momento di sconforto è normale che ci sia ma la reazione salutare deve portare a superare il fallimento e anzi a far tesoro dell’accaduto.

La motivazione intrinseca e duratura di alcuni studenti li ha portati molto più lontano di altri compagni (magari più dotati) che collegavano la loro soddisfazione esclusivamente all’ottenimento di un determinato risultato.

Non solo sono arrivati più lontano ma ci sono arrivati più contenti e soddisfatti.

Sonia Greco

Ho un lavoro interessante non c’è che dire.

Insegnare a chi ti sceglie come maestra e non è obbligato a farlo è già partire con un bel vantaggio. Insegnare danza classica è una cosa bellissima e insegnare anche a livello professionale è una condizione molto speciale. Quando questo lavoro ti porta a viaggiare per il mondo, conoscere nuove situazioni e culture e rigenerarsi quando (sempre) ce n’è bisogno, mi sento ancora più fortunata.

In questo lavoro ci sono anche tante responsabilità: oltre agli aspetti educativi e formativi che tutti noi ci prefiggiamo, c’è la scoperta guidata del futuro dei ragazzi le cui famiglie ci hanno affidato con fiducia. Sono bambini e bambine che arrivano nella scuola per caso poi passano con noi tantissimi anni: vengono quando frequentano la materna e poco dopo festeggiano con noi i loro 18 anni.

Ci hanno visto ricoprire diversi ruoli insegnanti di danza, psicologa, infermiera, taxista, promoter, agente di viaggi, parrucchiera… insegniamo loro tante cose, tutte preziose e non tutte hanno strettamente a che fare con la danza.

Ho scoperto che uno di quei “fondamentali” che dobbiamo insegnare è la GRATITUDINE.

E’ difficile definire concretamente la speciale qualità che un’insegnante o una scuola offre nello svolgere il proprio ruolo: non si tratta solo di risultati professionali -che non devono mancare- ma anche dell’attenzione verso le persone e il loro futuro, soprattutto come esseri umani.

E’ importante che i ragazzi si accorgano delle attenzioni e delle opportunità che questa generosità mette loro a disposizione. Ma quello che sembrerebbe naturale ..va invece insegnato, esattamente come le altre cose. Infatti sono sempre più tristemente convinta che “a casa” questo non sia considerato un aspetto importante.

Io dico che lo è.

I modi per dire “grazie” sono infiniti e sono tutti belli quando sono sinceri: un bigliettino, un disegno, ogni bambino o adulto ha a portata di mano gli strumenti adeguati per dimostrare di essere grato ed esprimerlo con un segno. Dobbiamo solo fermarci un attimo a pensare e mettere le cose in fila.

Ad esempio io, in queste righe, voglio esprimere il mio GRAZIE alle mie colleghe Cristiana e Licia che stanno vivendo con me questa avventura da 35 anni (!!) per la loro generosità, la fede e il cuore con cui si dedicano alla scuola. Auguro a tutti di avere di poter avere delle colleghe come loro sulle quali poter contare sempre.

Perché lo scrivo qui? Perché dire grazie è bellissimo, ma più orecchie sentono e meglio è.

Sonia Greco

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